1.
TREMONTI OSA L’INOSABILE: ATTACCARE ALLE SUE RESPONSABILITà L’EX
GOVERNATORE DRAGO DRAGHI. ED EU-GENIO SCALFARI S’INALBERA: ‘MA NON
SPETTAVA ALLA BANCA D'ITALIA DARE OPINIONI E TANTOMENO PRESCRIZIONI SUL
PREZZO DELL’ANTONVENETA”
2. IL FONDATORE NON SI RICORDA CHE LE ISPEZIONI DI BANKITALIA A MPS AVEVANO GIÀ MESSO TUTTO NERO SU BIANCO E CHE CHI SAPEVA E DOVEVA INTERVENIRE ERA DRAGHI CON LA VIGILANTE TARANTOLA. "FINANCIAL TIMES" E REUTERS SE NE ACCORGONO MA IN ITALIA NESSUNO HA IL CORAGGIO DI SCOMODARE IL PANTHEON DEI SANTI SALVATORI DELLA PATRIA
http://www.dagospia.com/rubrica-4/business/1-tremonti-osa-linosabile-attaccare-alle-sue-responsabilit-lex-governatore-drago-draghi-ed-eu-49965.htm
1. DAGOREPORT - PAROLA D'ORDINE: NON PARLARE DI DRAGHI E
DI MONTI TIRARE IN BALLO GIULIETTO CHE NON COLLABORA A NASCONDERE LA
POLVERE
Eu-Genio Scalfari svirgola l'abituale predica domenicale puntando la silhouette di Giulietto Tremonti. L'ex ministro dell'Economia "è oggi uno dei protagonisti nella strumentalizzazione di questo scandalo. Il suo obiettivo è coinvolgere Draghi nella vicenda. Ma non spettava alla Banca d'Italia dare opinioni e tantomeno prescrizioni sul prezzo dell'Antonveneta".
MARIO DRAGHI E TREMONTI
tremonti-mussari-draghi rio55_big
MASSIMO D'ALEMA ENRICO LETTA - copyright Pizzi
LOGO ANTONVENETA
Il Fondatore non si ricorda che le ispezioni della Bankitalia a MPS
avevano già messo tutto nero su bianco e che chi sapeva e doveva
intervenire era Mario Draghi con la sua vigilante Anna Maria Tarantola.
Il Financial Times e la Reuters se ne accorgono ma in Italia nessuno ha
il coraggio di scomodare il Pantheon dei santi salvatori della Patria.
Alla lotta si sono uniti anche Enrico Letta e Francesco Boccia che nella trasmissione ‘'l'Ultima Parola'' su Rai2 ha detto che "un contratto derivato fatto da Giulio Tremonti è costato allo stato italiano € 2,5 mld di Euro". Gianluigi Paragone al termine della trasmissione consegna a Boccia l'articolo di Dagospia nel quale dimostriamo che il derivato che è costato agli Italiani più della metà dell'IMU è stato chiuso il 10 gennaio 1994 durante il Governo Ciampi con Draghi saldamente alla guida del Ministero del Tesoro.
Nel disperato tentativo di coinvolgere Giulietto partecipa anche Luigi Berlinguer su Repubblica che dice: "Mussari presidente dell'Abi? Chiedete a Tremonti era Lui ministro del tesoro all'Epoca". E perché al Tesoro e non alla Banca d'Italia?
La presunta tangente da due miliardi sparata da Repubblica in prima pagina pone altri interrogativi su Bankitalia che non hanno niente a vedere con il Tesoro:
1) L'operazione alla base della transazione sospetta è l'acquisto di una controllata di Antonveneta, Interbanca, operazione autorizzata dalla Bankitalia di Draghi.
Ruggero Magnoni
berlinguer luigi 001
DRAGHI E TREMONTI
2) A rileggere i commenti di tutti gli analisti il
prezzo pagato "a sportello" per Antonveneta era esorbitante. Ma a Via
Nazionale leggono i giornali economici o solo la Gazzetta dello Sport ?
3) L'ex responsabile dell'area finanza di MPS Baldassari è indagato (secondo Plus24 di sabato 26) dalla Procura di Milano sin dal 2008 per operazioni sospette con brokers esteri. Possibile che senza mai perquisire MPS se ne siano accorti i PM di Milano e non Bankitalia?
4) Fino a quando il Governatore di Bankitalia Ignazio Visco continuerà ad avvalersi della ex (?) addetta stampa di Draghi che continua a telefonare ai direttori dei giornali in nome e per conto del precedente Governatore ?
5) Chi ha convinto Draghi a dare il via libera all'operazione Antonveneta? Magari, forse, magari il banchiere Ruggero Magnoni di Nomura?
monti mussari visco interna nuova
6) Come mai il vicepresidente del Monte Francesco
Gaetano Caltagirone, sempre così attentissimo ai suoi affari, accettò di
dare il via libera all'operazione da 10, 6 miliardi di euro di
Antonveneta? E' vero che Caltagirone incassò poi i voti di Mussari per
la sua nomina a vicepresidente di Generali?
7) Come mai il collegio sindacale di Mps presieduto dall'editorialista del "Messaggero" Tommaso Di Tanno, vicino a Vincenzo Visco e a Massimo D'Alema (altro editorialista del "Messaggero") non chiese approfondimenti sul prezzo folle di Antonveneta e votò a favore?
IGNAZIO VISCO- CECCHERINI
8) Perché l'eminente studioso delle scienze
tributarie Di Tanno ricorda solo ora che la ‘due diligence' preventiva
sulla banca veneta non fu fatta?
Tommaso Di Tanno
9) Perché le violente proteste del consigliere di
Mps Lorenzo Gorgoni, l'unico contrario all'acquisizione di Antonveneta,
non furono ascoltate?
10) Chi utilizzò il proprietario del Santander e Antonveneta l'opus-dei Botin per far pressione su Mussari e Caltagirone? Per caso l'opus-dei Gotti Tedeschi?
Furio Colombo e Eugenio Scalfari
2. LA PANNA MONTATA E LO SCANDALO DI SIENA
di Eugenio Scalfari per Repubblica
La campagna elettorale cui stiamo assistendo, in attesa di esercitare il nostro diritto al voto come cittadini attivi, è una delle più terremotate della storia repubblicana: populismi di varia natura che hanno come unico obiettivo l'abbattimento totale delle istituzioni; agende futuribili che si prefiggono traguardi di crescita ambiziosi, ma sorvolano sui mezzi con cui recuperare le necessarie risorse; resurrezioni di personaggi che sembravano ormai politicamente spenti e che si ripropongono alla ribalta confidando nella corta memoria degli italiani; una legge elettorale che "porcata" fu chiamata dal suo autore e "porcata" rimane.
BANCA ITALIA
Ma come se tutto ciò non bastasse, a turbare ulteriormente il clima
elettorale scoppia lo scandalo Monte dei Paschi e diventa
inevitabilmente dominante in una scena già così movimentata. Non starò a
ripercorrerne la storia, da una settimana è al centro dell'attenzione
ed è stata raccontata e variamente commentata per quanto finora era
possibile; ma non tutti i fatti sono noti e la Procura di Siena sta
indagando e salvaguarda scrupolosamente il segreto istruttorio su una
materia così incandescente.
Le linee essenziali della vicenda sono tuttavia evidenti: un gruppo di mascalzoni si impadronì della fondazione e della banca, si dedicò ad operazioni arrischiate di finanza speculativa, falsificò i bilanci, occultò le perdite e probabilmente lucrò tangenti e altrettante ne distribuì.
I poteri di vigilanza fecero quanto era in loro potere scontrandosi con i suddetti mascalzoni i quali avevano nascosto i documenti compromettenti per rendere più difficile l'accertamento della verità.
TOMMASO DI TANNO
CAROSIO VISCO LA VIA TARANTOLA SACCOMANNI ALL ASSEMBLEA DI BANKITALIA
Ora finalmente la situazione è più chiara, la banca è stata affidata a
mani sicure, i mascalzoni hanno un nome, la magistratura è all'opera;
150 dirigenti dei settori più compromessi sono stati licenziati,
l'assemblea degli azionisti si è riunita, ha votato all'unanimità un
aumento di capitale ed ha chiesto alla Banca d'Italia di erogare il
prestito denominato Monti-Bond che sarà utilizzato per l'aumento di
capitale insieme alla sottoscrizione degli azionisti. Il titolo quotato
in Borsa, che nei primi tre giorni dello scandalo aveva complessivamente
perso il 21 per cento, è risalito venerdì dell'11 per cento.
La banca non è a rischio di fallimento e i depositi del pubblico sono al sicuro. Restano da individuare con esattezza gli errori, gli eventuali reati e le responsabilità, ma resta soprattutto da rivedere il problema delle fondazioni bancarie in genere e di quella di Siena in particolare.
Nel frattempo il tema Monte dei Paschi ha deflagrato come una bomba nella campagna elettorale; la destra con i suoi giornali e le sue televisioni lo usa come una clava contro i "comunisti" del Pd e anche Monti lo utilizza con molta spregiudicatezza; il Pd lo ritorce con altrettanta energia; i populisti se ne avvalgono come uno strumento contundente.
Tutto ciò è sotto gli occhi della pubblica opinione e c'è poco da aggiungere salvo che dietro questo assordante clamore alcuni punti non sono stati ancora chiariti. Si tratta di punti essenziali ed è su di essi che vogliamo oggi concentrare l'attenzione.
MPS LINGRESSO DI ROCCA SALIMBENI SEDE DEL MONTE DEI PASCHI DI SIENA
bassanini - amato
La prima questione riguarda gli effetti che lo scandalo Monte dei
Paschi determina nell'opinione pubblica internazionale. C'è molta
perplessità tra gli osservatori qualificati, banchieri, operatori,
giornali qualificati. Si riteneva che il sistema bancario italiano fosse
il più solido e quello che meglio aveva tenuto nelle agitate acque
della crisi iniziata quattro anni fa col fallimento della Lehman
Brothers, ma la vicenda Monte dei Paschi - gonfiata oltre la realtà
dalle zuffe elettorali - ha intaccato la fiducia che ci era stata
accordata.
Speriamo che le dichiarazioni della Banca d'Italia e la pulizia in corso da parte dei nuovi dirigenti di Monte dei Paschi dissipino le perplessità degli investitori esteri e dei mercati. Lo vedremo domani. Certo non ha ben disposto il fatto che proprio quel Mussari che è all'origine dello scandalo senese sia stato eletto un anno fa alla guida dell'Associazione delle Banche italiane (Abi) dopo esser stato estromesso dalla presidenza di Monte dei Paschi. I banchieri che lo hanno eletto non sapevano nulla di quanto era accaduto a Siena? Erano ciechi e sordi oppure non davano gran peso a così gravi errori e agli eventuali reati che ne sarebbero conseguiti?
Prodi e Ciampi
ALESSANDRO PROFUMO E FABRIZIO VIOLA La
seconda questione che va chiarita riguarda la fondazione che controlla
il Monte dei Paschi. Unica tra tutte le fondazioni italiane essa nomina
la quasi totalità del consiglio d'amministrazione della banca. E qui
bisogna fare un passo indietro. Sulle fondazioni bancarie ci sono state
due leggi, una fatta da Giuliano Amato nel 1990 e l'altra da Ciampi
quando era ministro dell'Economia nel governo Prodi. Poi, nel 2003, una
sentenza della Corte Costituzionale.
Il tema principale delle leggi e della sentenza riguardava i compiti e i poteri delle fondazioni e l'assetto definitivo della proprietà delle banche. Ciampi mirava alla privatizzazione; nella sua visione le fondazioni rappresentavano un ponte in attesa che il mercato registrasse un interesse ad intervenire. Nel frattempo le fondazioni avrebbero dovuto rappresentare la presenza territoriale e professionale nella dirigenza delle banche, lasciando adeguato spazio ad altri azionisti privati.
AMATO BASSANINI
Nel 2001 tuttavia questo criterio fu modificato da Tremonti, appena
arrivato alla guida del Tesoro. Nella legge finanziaria di quell'anno fu
stabilito che gli Enti locali avevano diritto di nominare tutti i
dirigenti delle fondazioni. Si trattava di fatto di una pubblicizzazione
delle fondazioni e quindi delle banche da esse controllate, del tutto
opposto ai criteri di privatizzazione della legge Ciampi. La reazione
degli interessati fu il ricorso alla Consulta la quale bocciò le
disposizioni di Tremonti ripristinando i criteri della legge Ciampi. Ma
perché Tremonti aveva scelto un criterio che dava tutto il potere agli
Enti locali?
Probabilmente glielo aveva chiesto la Lega ma su questo tema il "superministro" è sempre stato coerente: il potere pubblico deve essere determinante nella politica bancaria e quindi nella proprietà degli istituti e nelle fondazioni. Per questo rifiutò sempre le richieste della Banca d'Italia (allora presieduta da Mario Draghi) di poter revocare gli amministratori delle banche quando si dimostrassero responsabili di illegalità particolarmente gravi.
TREMONTI E MONTI
Si oppose altresì ad aumentare i poteri di vigilanza dell'Istituto
centrale. Infine creò i Tremonti-bond, cioè prestiti alle banche che
avessero bisogno di liquidità, convertibili in azioni e quindi
all'ingresso diretto dello Stato.Tremonti, non a caso, è oggi uno dei
protagonisti nella strumentalizzazione di questo scandalo. Il suo
obiettivo è evidente e risulta dalle sue più recenti dichiarazioni:
vuole coinvolgere Draghi nelle vicende Monte dei Paschi. In che modo?
La vicenda ebbe inizio con l'acquisto dell'Antonveneta da parte di Mussari (Monte dei Paschi). L'operazione doveva essere autorizzata dalla Banca d'Italia non tanto nel merito quanto nella capacità patrimoniale dell'istituto richiedente. Era l'autunno del 2007, non era ancora scoppiata la bolla immobiliare americana, i mercati erano tranquilli, Monte dei Paschi era la terza banca italiana ed aveva tutti i requisiti per estendere la sua influenza, ma Draghi per maggior prudenza condizionò l'autorizzazione ad un aumento di capitale, Mussari accettò, Monte dei Paschi fece l'aumento di capitale sottoscritto in massima parte dalla fondazione e l'operazione fu fatta. Il prezzo era alto?
TREMONTI E MONTI
MARIO MONTI E GIUSEPPE MUSSARI jpeg
Certo, ma Mussari si aspettava che Antonveneta fruttasse un profitto
annuo di 700 milioni con il quale in breve tempo Monte Paschi sarebbe
rientrata da un investimento di quelle dimensioni. Comunque non spettava
alla Banca d'Italia dare opinioni e tantomeno prescrizioni sul prezzo.
Avanzo a questo punto una mia personale opinione: Tremonti ha un conto
in sospeso con Draghi; il suo obiettivo oggi è di coinvolgerlo nella
vicenda Monte dei Paschi. Farà il possibile per realizzare
quell'obiettivo che è non solo infondato ma recherebbe gravissimo danno
all'Europa e all'Italia. Spero di sbagliarmi e sarò lieto di poterlo
constatare.
Si pone tuttavia una terza e nient'affatto marginale questione che riguarda Mario Monti. Nelle campagne elettorali bisognerebbe evitare, come nella boxe, i colpi sotto la cintura, tanto più tra forze politiche destinate ad allearsi in un prossimo futuro. Ma Monti di colpi sotto la cintura ha cominciato a darne: giovedì scorso ha detto che la vicenda Monte dei Paschi riguarda direttamente il Pd. Contemporaneamente ha detto che il suo "movimento" farebbe volentieri alleanza post-elettorale con il Pdl purché epurato dalla presenza di Berlusconi.
BERLUSCONI MONTI
BERSANI E MUSSARI
È evidente l'obiettivo: scomporre e ricomporre la vecchia "strana
maggioranza" da lui presieduta dal novembre del 2011 fino al febbraio
2013. Bersani sì ma senza Vendola; Alfano sì ma senza Berlusconi e Monti
federatore di moderati e riformisti. La vicenda Monte dei Paschi,
purché fatta montare come la panna, aiuta; quanto a Berlusconi, lui è
disposto a tutto purché gli si dia un salvacondotto giudiziario ed
economico. E chi glielo negherà? Monti no di certo, Casini meno ancora
perché vuole la presidenza del Senato e poi, chissà...
2. IL FONDATORE NON SI RICORDA CHE LE ISPEZIONI DI BANKITALIA A MPS AVEVANO GIÀ MESSO TUTTO NERO SU BIANCO E CHE CHI SAPEVA E DOVEVA INTERVENIRE ERA DRAGHI CON LA VIGILANTE TARANTOLA. "FINANCIAL TIMES" E REUTERS SE NE ACCORGONO MA IN ITALIA NESSUNO HA IL CORAGGIO DI SCOMODARE IL PANTHEON DEI SANTI SALVATORI DELLA PATRIA
http://www.dagospia.com/rubrica-4/business/1-tremonti-osa-linosabile-attaccare-alle-sue-responsabilit-lex-governatore-drago-draghi-ed-eu-49965.htm

Eu-Genio Scalfari svirgola l'abituale predica domenicale puntando la silhouette di Giulietto Tremonti. L'ex ministro dell'Economia "è oggi uno dei protagonisti nella strumentalizzazione di questo scandalo. Il suo obiettivo è coinvolgere Draghi nella vicenda. Ma non spettava alla Banca d'Italia dare opinioni e tantomeno prescrizioni sul prezzo dell'Antonveneta".




Alla lotta si sono uniti anche Enrico Letta e Francesco Boccia che nella trasmissione ‘'l'Ultima Parola'' su Rai2 ha detto che "un contratto derivato fatto da Giulio Tremonti è costato allo stato italiano € 2,5 mld di Euro". Gianluigi Paragone al termine della trasmissione consegna a Boccia l'articolo di Dagospia nel quale dimostriamo che il derivato che è costato agli Italiani più della metà dell'IMU è stato chiuso il 10 gennaio 1994 durante il Governo Ciampi con Draghi saldamente alla guida del Ministero del Tesoro.
Nel disperato tentativo di coinvolgere Giulietto partecipa anche Luigi Berlinguer su Repubblica che dice: "Mussari presidente dell'Abi? Chiedete a Tremonti era Lui ministro del tesoro all'Epoca". E perché al Tesoro e non alla Banca d'Italia?
La presunta tangente da due miliardi sparata da Repubblica in prima pagina pone altri interrogativi su Bankitalia che non hanno niente a vedere con il Tesoro:
1) L'operazione alla base della transazione sospetta è l'acquisto di una controllata di Antonveneta, Interbanca, operazione autorizzata dalla Bankitalia di Draghi.



3) L'ex responsabile dell'area finanza di MPS Baldassari è indagato (secondo Plus24 di sabato 26) dalla Procura di Milano sin dal 2008 per operazioni sospette con brokers esteri. Possibile che senza mai perquisire MPS se ne siano accorti i PM di Milano e non Bankitalia?
4) Fino a quando il Governatore di Bankitalia Ignazio Visco continuerà ad avvalersi della ex (?) addetta stampa di Draghi che continua a telefonare ai direttori dei giornali in nome e per conto del precedente Governatore ?
5) Chi ha convinto Draghi a dare il via libera all'operazione Antonveneta? Magari, forse, magari il banchiere Ruggero Magnoni di Nomura?

7) Come mai il collegio sindacale di Mps presieduto dall'editorialista del "Messaggero" Tommaso Di Tanno, vicino a Vincenzo Visco e a Massimo D'Alema (altro editorialista del "Messaggero") non chiese approfondimenti sul prezzo folle di Antonveneta e votò a favore?


10) Chi utilizzò il proprietario del Santander e Antonveneta l'opus-dei Botin per far pressione su Mussari e Caltagirone? Per caso l'opus-dei Gotti Tedeschi?

di Eugenio Scalfari per Repubblica
La campagna elettorale cui stiamo assistendo, in attesa di esercitare il nostro diritto al voto come cittadini attivi, è una delle più terremotate della storia repubblicana: populismi di varia natura che hanno come unico obiettivo l'abbattimento totale delle istituzioni; agende futuribili che si prefiggono traguardi di crescita ambiziosi, ma sorvolano sui mezzi con cui recuperare le necessarie risorse; resurrezioni di personaggi che sembravano ormai politicamente spenti e che si ripropongono alla ribalta confidando nella corta memoria degli italiani; una legge elettorale che "porcata" fu chiamata dal suo autore e "porcata" rimane.

Le linee essenziali della vicenda sono tuttavia evidenti: un gruppo di mascalzoni si impadronì della fondazione e della banca, si dedicò ad operazioni arrischiate di finanza speculativa, falsificò i bilanci, occultò le perdite e probabilmente lucrò tangenti e altrettante ne distribuì.
I poteri di vigilanza fecero quanto era in loro potere scontrandosi con i suddetti mascalzoni i quali avevano nascosto i documenti compromettenti per rendere più difficile l'accertamento della verità.


La banca non è a rischio di fallimento e i depositi del pubblico sono al sicuro. Restano da individuare con esattezza gli errori, gli eventuali reati e le responsabilità, ma resta soprattutto da rivedere il problema delle fondazioni bancarie in genere e di quella di Siena in particolare.
Nel frattempo il tema Monte dei Paschi ha deflagrato come una bomba nella campagna elettorale; la destra con i suoi giornali e le sue televisioni lo usa come una clava contro i "comunisti" del Pd e anche Monti lo utilizza con molta spregiudicatezza; il Pd lo ritorce con altrettanta energia; i populisti se ne avvalgono come uno strumento contundente.
Tutto ciò è sotto gli occhi della pubblica opinione e c'è poco da aggiungere salvo che dietro questo assordante clamore alcuni punti non sono stati ancora chiariti. Si tratta di punti essenziali ed è su di essi che vogliamo oggi concentrare l'attenzione.


Speriamo che le dichiarazioni della Banca d'Italia e la pulizia in corso da parte dei nuovi dirigenti di Monte dei Paschi dissipino le perplessità degli investitori esteri e dei mercati. Lo vedremo domani. Certo non ha ben disposto il fatto che proprio quel Mussari che è all'origine dello scandalo senese sia stato eletto un anno fa alla guida dell'Associazione delle Banche italiane (Abi) dopo esser stato estromesso dalla presidenza di Monte dei Paschi. I banchieri che lo hanno eletto non sapevano nulla di quanto era accaduto a Siena? Erano ciechi e sordi oppure non davano gran peso a così gravi errori e agli eventuali reati che ne sarebbero conseguiti?


Il tema principale delle leggi e della sentenza riguardava i compiti e i poteri delle fondazioni e l'assetto definitivo della proprietà delle banche. Ciampi mirava alla privatizzazione; nella sua visione le fondazioni rappresentavano un ponte in attesa che il mercato registrasse un interesse ad intervenire. Nel frattempo le fondazioni avrebbero dovuto rappresentare la presenza territoriale e professionale nella dirigenza delle banche, lasciando adeguato spazio ad altri azionisti privati.

Probabilmente glielo aveva chiesto la Lega ma su questo tema il "superministro" è sempre stato coerente: il potere pubblico deve essere determinante nella politica bancaria e quindi nella proprietà degli istituti e nelle fondazioni. Per questo rifiutò sempre le richieste della Banca d'Italia (allora presieduta da Mario Draghi) di poter revocare gli amministratori delle banche quando si dimostrassero responsabili di illegalità particolarmente gravi.

La vicenda ebbe inizio con l'acquisto dell'Antonveneta da parte di Mussari (Monte dei Paschi). L'operazione doveva essere autorizzata dalla Banca d'Italia non tanto nel merito quanto nella capacità patrimoniale dell'istituto richiedente. Era l'autunno del 2007, non era ancora scoppiata la bolla immobiliare americana, i mercati erano tranquilli, Monte dei Paschi era la terza banca italiana ed aveva tutti i requisiti per estendere la sua influenza, ma Draghi per maggior prudenza condizionò l'autorizzazione ad un aumento di capitale, Mussari accettò, Monte dei Paschi fece l'aumento di capitale sottoscritto in massima parte dalla fondazione e l'operazione fu fatta. Il prezzo era alto?


Si pone tuttavia una terza e nient'affatto marginale questione che riguarda Mario Monti. Nelle campagne elettorali bisognerebbe evitare, come nella boxe, i colpi sotto la cintura, tanto più tra forze politiche destinate ad allearsi in un prossimo futuro. Ma Monti di colpi sotto la cintura ha cominciato a darne: giovedì scorso ha detto che la vicenda Monte dei Paschi riguarda direttamente il Pd. Contemporaneamente ha detto che il suo "movimento" farebbe volentieri alleanza post-elettorale con il Pdl purché epurato dalla presenza di Berlusconi.


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