giovedì 14 febbraio 2013

Scoperto il collante piu' efficace: quello che tiene il sedere del politico alla sua poltrona


FORMIGONI: ANCHE SE RINVIATO A GIUDIZIO, NON MI DIMETTERO' MAI MAI MAI

Quale e' la soluzione? Una guerra civile di manzoniana memoria? E poi, chi ha preso il potere, ha fatto peggio dei predecessori...


IlSole24Ore


Dopo l'accusa della Procura di Milano di essere stato l'organizzatore di un'associazione a delinquere, Roberto Formigoni, governatore uscente della Regione Lombardia, torna a difendersi sostenendo che «nessun dirigente ha mai subito pressioni» per la scrittura di delibere finalizzate a finanziarie le cliniche Maugeri e San Raffaele, e che nelle carte dei pm «non si trova alcun atto corruttivo». Infine ieri sera, ospite di La 7, ha chiarito che «non si dimetterà se rinviato a giudizio». Intanto dagli atti della Procura di Milano emerge la tesi dei pm coordinati da Francesco Greco.
Per quanto riguarda l'inchiesta sulla fondazione Maugeri - dove Formigoni risultava inizialmente indagato per corruzione relativamente ad una distrazione di fondi pubblici per circa 70 milioni - il governatore uscente sembrerebbe colui che «si adopera in violazione di legge e doveri di imparzialità nel perseguimento dell'interesse pubblico, con provvedimenti diretti ad erogare consistenti somme di denaro alla clinica».
Le supposte violazioni erano condivise con il segretario generale del Pirellone Nicola Maria Sanese (indagato) e con il dg della sanità Carlo Lucchina (indagato), quest'ultimo come responsabile dell'istruttoria e dell'elaborazione delle delibere.
Gli intermediari tra la Maugeri e la Regione Lombardia erano, per la procura, i lobbisti Antonio Simone e Pierangelo Daccò (già condannato a 10 anni per la vicenda del crack della clinica San Raffaele), che curavano i rapporti con il direttore della Maugeri Costantino Passerino, e «comunicavano a Formigoni, Sanese e Lucchina le richieste finanziarie della fondazione così da predisporre e adottare i provvedimenti amministrativi».
Il cerchio si chiude quindi, per i pm, con Alberto Perego, persona di fiducia di Formigoni e suo convivente nell'associazione religiosa dei memores domini: era lui a tenere i rapporti con Daccò anche nell'interesse di Formigoni, «prestandosi a sottoscrivere fittizi contratti di noleggio di imbarcazioni e a comparire acquirente di una villa in Sardegna al fine di occultare parte delle utilità procurate a sé e a Formigoni».
Inoltre avrebbe ricevuto «somme di denaro contante» per sé e Formigoni da parte di Daccò. Queste sei persone (indagate insieme ad altri dieci) rappresenterebbero il nucleo principale dell'associazione criminosa. Per la procura i loro incontri avvenivano, fra le varie sedi, anche negli uffici della rivista "Tempi" a Milano. Inoltre Maugeri e Passerino effettuavano su conti correnti di società estere e italiane riferibili a Simone e Daccò vari pagamenti, ritenuti dai pm "percentuali" per le operazioni con il Pirellone. Negli atti della procura sono indicate società straniere come la Mtm, Grant consulting, Chawlane, Sikri, Adspicio Agens, Fraca; o italiane come la Panacea, Itaca, Semec, Periplo.

Regalasi Finmeccanica: solo a stranieri


Lo scopo era triste: fra crollare Finmeccanica permettendo ai personaggi al suo vertice di effettuare operazioni poco pulite...  voltandosi, che doveva controllare,  dall'altra parte.

Una volta crollata, sputtanata, outlookata in negativo dalle serissime (eh eh eh) agenzie di rating...regalarla! 

In modo che gli acquirenti (stranieri) non dovessero pagare troppo, oltre al prezzo saldo, ed a qualche mazzetta a nostri connazionali evidentemente piu' attaccati all'euro che al senso di patriottismo.

Gratta e scopri i nomi!!!

dal Sole24Ore

Giuseppe Orsi, tutt'ora presidente di Finmeccanica, ha trascorso la seconda notte nel carcere di Busto Arsizio e ha ricevuto ieri la visita del deputato radicale Maurizio Turco e del suo legale Ennio Amodio. L'interrogatorio di garanzia di fronte al gip, è previsto al più tardi lunedì prossimo (non oltre i cinque giorni dall'esecuzione delle misure cautelari). Dal canto suo Amodio, ha già annunciato di avere presentato ricorso al tribunale del Riesame per la revoca della detenzione di Orsi.
giuseppe orsigiuseppe orsi Nel frattempo l'inchiesta della procura di Busto Arsizio che ha portato all'arresto (ai domiciliari) anche del Ceo di Agusta Westland Bruno Spagnolini procede. Le presunte tangenti generate dalla maxicommessa indiana da 556 milioni di euro per i 12 elicotteri AW modello 101 Vvip hanno spinto la procura alla richiesta d'arresto per gli intermediari svizzeri Guido Ralph Haschke, e Carlo Gerosa (attualmente in Svizzera).
Ed è proprio su alcune società riconducibili ad Haschke e Gerosa che si è appuntata l'attenzione dei carabinieri del Noe, coordinati dal pm Eugenio Fusco. In particolare su due entità: la Ids Information Technology & Engineering Sarl tunisina, con la quale i rapporti erano più intensi, e la Ids India. Analizzando le transazioni tra Agusta Westland e queste due aziende il pm è giunto a ipotizzare un reato non contestato dai pm napoletani Vincenzo Piscitelli e John Henry Woodcock che avevano avviato l'inchiesta: la frode fiscale.
Giuseppe OrsiGiuseppe Orsi La tesi dell'accusa è che le due società avrebbero fatturato ad Agusta qualcosa come 21 milioni di euro per software destinati a visori tridimensionali montabili su alcuni modelli di elicotteri. Per il pm e per il gip quelle fatture sarebbero fasulle o, quantomeno, gonfiate a dismisura, e sarebbero state uno dei sistemi utilizzati dall'azienda per comprimere i propri utili indicando nelle dichiarazioni dei redditi elementi passivi fittizi. In altri termini si sarebbe trattato di un artifizio fiscale che avrebbe alleggerito il carico dell'imponibile finale di Agusta Westland.
SEDE FINMECCANICASEDE FINMECCANICA Nel dettaglio l'operatività con la Ids India era iniziata nel 2007 con l'emissione a carico di Agusta di cinque fatture per il valore complessivo di 640.612 euro. L'attività con la società indiana era proseguita nel 2008 a un ritmo più elevato: 16 fatture per 977.263 euro. Il lavoro con la società tunisina sembra invece concentrarsi in due mesi novembre e dicembre (sempre del 2008).
Qui il riferimento è diverso rispetto ai precedenti che davano conto di semplici transazioni commerciali. Vi si parla di «Acconto come da articolo 7.3 dell'"accordo"». Un acconto da 900mila euro e due tranche di pagamento: una datata l'1 dicembre da 170mila euro e una seconda trance, che risale al 31 dicembre, da 255mila, per un totale di 1.320mila euro.
LOGO AGUSTA WESTLANDLOGO AGUSTA WESTLAND Nel 2009 l'operatività delle due società indiana e tunisina con Agusta Westland si intensifica: venti fatture per 507.988 euro e 12 con la tunisina per 5.440.000 euro. Anche in questo caso la causale riferiva di un «accordo» tra le parti. E, ancora, nel 2010 dodici fatture per 6,120 milioni di euro. L'anno successivo l'importo complessivo con la società tunisina era di 6.392.020 euro. Quasi 21,5 milioni. Ciò che sospettano i magistrati è che alle spalle di questo incessante traffico di fatture in realtà si nascondesse il tipico meccanismo del riciclaggio «al contrario»: che prevede anziché la ripulitura del denaro sporco per reimmetterlo nel circuito legale, quello opposto: «sporcare» denaro pulito per generare provviste utili ad altri scopi.
I PM WOODCOCK E PISCITELLII PM WOODCOCK E PISCITELLI Nella fattispecie a pagare tangenti. E il flusso del denaro sarebbe poi transitato dalle isole Mauritius per poi passare a Singapore. L'avvocato Amodio ha già dichiarato di essere pronto a dimostrare l'autenticità delle transazioni effettuate tra le tre società e si presume che questo sarà argomento di discussione durante i prossimi interrogatori degli indagati. Dal canto suo Haschke, contattato da Il Sole-24Ore, attraverso la moglie Deborah, esponente di spicco della comunità tibetana in esilio e, con il marito, finanziatrice dei gruppi locali in fuga dal governo di Pechino, fa sapere al cronista che parlerà soltanto «al momento opportuno».

martedì 12 febbraio 2013

I reinvestimenti dei grandi e-elusori fiscali



Facebook, Google, Amazon, Apple: i big del web si fanno stato

Sportelli online per l'acquisto di azioni, compagnie aeree, monete virtuali, energia: così Internet prepara la "secessione"


09/02/2013
Facebook, Google, Amazon, Apple I big del web si fanno Stato

di Ugo Bertone per Libero
Prima la musica, poi l’editoria e le telecom. Ora tocca alle infrastrutture fisiche e alla finanza. Il braccio di ferro tra new e old economy, che tanto appassionava il mercato pochi anni fa, ha un vincitore: Google, Apple, Amazon avanzano tra le macerie del vecchio mondo, facendo incetta di beni fisici. Al banchetto partecipano un po’ tutti. Anche Microsoft, dopo aver in pratica acquistato Nokia per contrastare Motorola conquistata da Google, questa settimana ha finanziato l’operazione con cui Michael Dell ha ritirato la sua azienda da Wall Street. 

Ma l’offensiva dei signori dell’economia virtuale punta a ben altro. Tra non molto, a giudicare dalle notizie in arrivo, si prenderà l’aereo in aeroporti targati Google, consumeremo energia elettrica Apple (o Google) e faremo la spesa con gli spiccioli di Amazon. In attesa di una banca virtuale gestita da Apple. Nel frattempo, è possibile comprare o vendere titoli attraverso Loyal 3, una piattaforma che permette di operare in Borsa anche per lotti minimi attraverso Facebook, senza passare da banche o altri intermediari.  Insomma, forti del cash esentasse o quasi, accumulato in questi anni, i signori della realtà virtuale stanno avanzando ovunque.

Partiamo da una notizia piccola in sé: la nascita a San José,  California, del Googleaeroporto. La città californiana, infatti, ha dato il via libera al progetto di un nuovo terminal nel Mineta San José International Airport   riservato alla flotta aerea del più importante motore di ricerca del mondo,  che comprende un Boeing 767 e un 737. Si tratterà di un investimento da 82 milioni di dollari che non solo  frutterà alla città 2,6 milioni di dollari all’anno per l’affitto dell’area (quasi 120 mila metri quadrati)   su cui sorgeranno anche ristoranti e spazi commerciali ma permetterà di creare 236 posti di lavoro, moneta che scarseggia in California come nelle vecchia Europa. Noccioline, per il colosso di Mountain View. Ma anche così, con un aeroporto intitolato al logaritmo che ha cambiato il mondo, si segnala la staffetta del potere tra il vecchio e il nuovo mondo. Ben più ambiziosa la sfida lanciata da Jeff Bezos in un terreno riservato da sempre agli Stati: battere moneta. E la moneta non manca nel gigantesco emporio virtuale di Jeff Bezos. A partire da maggio, sull’Appstore della società di Seattle sarà possibile comprare gli Amazon Coin, moneta virtuale che servirà per acquistare giochi, applicazioni od altri prodotti virtuali su Kindle o sui tablet  nel regno delle meraviglie di mister Jeff. Una sfida  a metà perché, almeno per ora, non si potranno  usare  i dollari di Amazon per fare acquisti «fisici». I Bezos-dollari serviranno solo per comprare giochi o applicazioni varie. Ma sarà comunque la prima  crepa nel monopolio della moneta. Crepa che potrebbe estendersi a un altro pilastro, dell’economia tradizionale: la banca.

L’indiziata, in questo caso, è la Mela di Apple. Già un anno fa , la società di ricerca Kae ha condotto un sondaggio in Usa e nel Regno Unito con questa domanda: aprireste un conto presso la banca on line di Apple? Il 43% degli intervistati si è detto pronto ad aprire un conto presso Apple, tradendo la vecchia banca, di cui ci si fida sempre meno. Al contrario, non solo Apple, con i suoi 120 miliardi in cassa, è considerata più solida ed affidabile delle banche. Ma il pubblico ha più fiducia nelle competenze tecniche dell’impero di Jobs  che non nell’e-banking.  La spallata, insomma, potrebbe essere vicina. Ma il condizionale è d’obbligo. Il successo genera invidia e nemici. E così cresce il numero dei critici che si domandano se e in che misura le varie Google o Apple paghino le tasse. In realtà, grazie a una complessa ragnatela di domicili fiscali tra Nevada (ove le tasse societarie sono inesistenti) Irlanda, Lussemburgo, Olanda e Isole Vergini, Apple è riuscita lo scorso anno a pagare 2,4 miliardi di imposte su 34 miliardi con un’aliquota inferiore al 10 per cento. In questi anni,  la Mela ha risparmiato almeno 74 miliardi in imposte, più o meno l’intero pil del Kenya. Più o meno stessa situazione per Microsoft o Google, il cui ex ceo Eric Schmidt, che proprio ieri hanno annunciato la vendita di titoli per 1, 9 miliardi di dollari,  si è a suo tempo difeso sottolineando che «ci siamo semplicemente avvalsi delle leggi in vigore». Vero, ma le cose potrebbero cambiare se scendessero in campo le lobbies della finanza.  Forse il vero scontro tra i giganti deve ancora avvenire.

Dalle dimissioni del Papa alle banche: gli articoli "al contrario" dei media


Mentre il presidente della repubblica indulge in feste e festini che nulla hanno da invidiare a quelle dell'aristocrazia francese pre rivoluzionaria (mentre la gente, per strada, moriva di fame), coll'aggiunta che qua, dal denaro destinato alla gente, si ruba ancora di piu'...
Mentre tutto questo accade, i media descrivono le dimissioni del Papa in articoli da leggere da FONDO a CIMA (non da cima a fondo), per comprendere la realta' dei fatti.

Prendiamo, ad esempio, questo pezzo del Corsera.
Provate a leggerlo cosi' com'e' - poi ripetete l'esperimento partendo DAL FONDO (in rosso i concetti chiave).





Non essendo riuscito a cambiare la Curia, Benedetto XVI è arrivato ad una conclusione amara: va via, è lui che cambia. Si tratta del sacrificio estremo, traumatico, di un pontefice intellettuale sconfitto da un apparato ritenuto troppo incrostato di potere e autoreferenziale per essere riformato. È come se Benedetto XVI avesse cercato di emancipare il papato e la Chiesa cattolica dall'ipoteca di una specie di Seconda Repubblica vaticana; e ne fosse rimasto, invece, vittima. È difficile non percepire la sua scelta come l'esito di una lunga riflessione e di una lunga stanchezza. Accreditarlo come un gesto istintivo significherebbe fare torto a questa figura destinata e entrare nella storia più per le sue dimissioni che per come ha tentato di riformare il cattolicesimo, senza riuscirci come avrebbe voluto: anche se la decisione vera e propria è maturata domenica.



Quello a cui si assiste è il sintomo estremo, finale, irrevocabile della crisi di un sistema di governo e di una forma di papato; e della ribellione di un «Santo Padre» di fronte alla deriva di una Chiesa-istituzione passata in pochi anni da «maestra di vita» a «peccatrice»; da punto di riferimento morale dell'opinione pubblica occidentale, a una specie di «imputata globale», aggredita e spinta quasi a forza dalla parte opposta del confessionale. Senza questo trauma prolungato e tuttora in atto, riesce meno comprensibile la rinuncia di Benedetto XVI. È la lunga catena di conflitti, manovre, tradimenti all'ombra della cupola di San Pietro, a dare senso ad un atto altrimenti inesplicabile; e per il quale l'aggettivo «rivoluzionario» suona inadeguato: troppo piccolo, troppo secolare. Quanto è successo ieri lascia un senso di vuoto che stordisce.

E nonostante la sua volontà di fare smettere il clamore e lo sconcerto intorno alla Città del Vaticano, le parole accorate pronunciate dal Papa li moltiplicano. Aggiungono mistero a mistero. Ne marcano la silhouette in modo drammatico, proiettando ombre sul recente passato. Consegnano al successore che verrà eletto dal prossimo Conclave un'istituzione millenaria, di colpo appesantita e logorata dal tempo. E adesso è cominciata la caccia ai segni: i segni premonitori. Come se si sentisse il bisogno di trovare una ragione recondita ma visibile da tempo, per dare una spiegazione alla decisione del Papa di dimettersi: a partire dall'accenno fatto l'anno scorso da monsignor Luigi Bettazzi; e poco prima dall'arcivescovo di Palermo, Paolo Romeo, che si era lasciato scappare questa possibilità durante un viaggio in Cina, ipotizzando perfino un complotto contro Benedetto XVI.

Ma la ricerca rischia di essere una «via crucis» nella crisi d'identità del Vaticano. Riaffiora l'immagine di Joseph Ratzinger che lascia il suo pallio, il mantello pontificio sulla tomba di Celestino V, il Papa che «abdicò» nel 1294, durante la sua visita all'Aquila dopo il terremoto, il 28 aprile del 2009. Oppure rimbalza l'anomalia dei due Concistori indetti nel 2012 «per sistemare le cose e perché sia tutto in ordine», nelle parole anodine di un cardinale. O ancora tornano in mente le ripetute discussioni col fratello sacerdote Georg, sulla possibilità di lasciare. Qualcuno ritiene di vedere un indizio della volontà di dimettersi perfino nei lavori di ristrutturazione dell'ex convento delle suore di clausura in corso nei giardini vaticani: perché è lì che Benedetto XVI andrà a vivere da «ex Papa», dividendosi col palazzo sul lago di Castel Gandolfo, sui colli a sud di Roma.

L' Osservatore romano scrive che aveva deciso da mesi, dall'ultimo viaggio in Messico. Ma è difficile capire quando l'intenzione, quasi la tentazione di farsi da parte sia diventata volontà e determinazione di compiere un gesto che «per il bene della Chiesa», nel breve periodo non può non sollevare soprattutto domande; e mostrare un Vaticano acefalo e delegittimato nella sua catena di comando ma soprattutto nel suo primato morale: proprio perché di tutto questo Benedetto XVI è stato l'emblema e il garante. «Il Papa continua a scrivere, a studiare. È in salute, sta bene», ripetono quanti hanno contatti con lui e la sua cerchia. «Non è vero che sia malato: stava preparando una nuova enciclica». Dunque, la traccia della malattia sarebbe fuorviante.

Smonta anche il precedente delle lettere riservate preparate segretamente da Giovanni Paolo II nel 1989 e nel 1994, nelle quali offriva le proprie dimissioni in caso di malattia gravissima o di condizioni che gli rendessero impossibile «fare il Papa» in modo adeguato. Ma l'assenza di motivi di salute rende le domande più incalzanti. E ripropone l'unicità del passo indietro. Il gesuita statunitense Thomas Reese calcola che nella storia siano state ipotizzate le dimissioni di una decina di pontefici. Ma fa notare che in generale i papi moderni hanno sempre scartato questa possibilità. Eppure, gli scritti di Ratzinger non hanno mai eluso il problema, anzi: lentamente affiora la realtà di un progetto accarezzato da tempo. «I due Georg sapevano», si dice adesso, alludendo al fratello Georg Ratzinger e a Georg Gänswein, segretario particolare del pontefice.

Forse, però, colpisce di più che fosse all'oscuro di tutto il cardinale Angelo Sodano, ex segretario di Stato e numero uno del Collegio Cardinalizio; e con lui altre «eminenze», che parlano di «fulmine a ciel sereno». È come se perfino in queste ore si intravedesse una singolare struttura tribale, che ha dominato la vita di Curia con amicizie e ostilità talmente radicate da essere immuni a qualunque richiamo all'unità del pontefice. Sotto voce, si parla del contenuto «sconvolgente» del rapporto segreto che tre cardinali anziani hanno consegnato nei mesi scorsi a proposito di Vatileaks, la fuga di notizie riservate per la quale è stato incriminato e condannato solo il maggiordomo papale, Paolo Gabriele. Si fa notare che da oltre otto mesi lo Ior, l'Istituto per le opere di religione considerato «la banca del Papa», è senza presidente dopo la sfiducia a Ettore Gotti Tedeschi. Rimane l'eco intermittente dello scandalo dei preti pedofili, che pure il pontefice ha affrontato a costo di scontrarsi con una cultura del segreto ancora diffusa negli ambienti vaticani. 

E continuano a spuntare «buchi» di bilancio a carico di istituti cattolici, dopo la presunta truffa milionaria a danno dei Salesiani: un episodio imbarazzante per il quale il segretario di Stato, Tarcisio Bertone, ha inutilmente cercato la solidarietà e la comprensione della magistratura italiana. È questa eredità di inimicizie, protagonismi, lotta fra correnti, faide economiche con risvolti giudiziari che sembra aver pesato più di quanto si immaginasse sulle spalle infragilite di Benedetto XVI. È come se avesse interiorizzato la «malattia» della crisi vaticana di credibilità, irrisolta e apparentemente irrisolvibile. Conferma il ministro Andrea Riccardi, che lo conosce bene: «Ha trovato difficoltà e resistenze più grandi di quelle che crediamo. E non ha trovato più la forza per contrastarle e portare il peso del suo ministero. Bisogna chiedersi perché».

Ma nel momento in cui decide di dimettersi da Papa, Benedetto XVI infrange un tabù plurisecolare, quasi teologico. Fa capire alla nomenklatura vaticana che nessuno è insostituibile: nemmeno l'uomo che siede sulla «Cattedra di Pietro». E apre la porta a una potenziale ondata di dimissioni. Soprattutto, addita al Conclave la drammaticità della situazione della Chiesa. Dà indirettamente ragione a quegli episcopati mondiali, in particolare occidentali, che da mesi osservano la Roma papale come un nido di conflitti e manovre fra cordate che da tempo pensano solo alla successione. L'annuncio delle dimissioni avviene in coincidenza con l'anniversario dei Patti lateranensi; e nel bel mezzo di una campagna elettorale: al punto che ieri alcuni leader si chiedevano se interrompere per un giorno i comizi. Ma già si guarda avanti. Bertone ha chiesto di incontrare per una decina di minuti il capo dello Stato Giorgio Napolitano prima della festa in ambasciata di oggi pomeriggio. E il «toto-Papa» impazza, con le scommesse fuorvianti sull'«italiano» o il «non italiano». Stavolta, in realtà, sarà un Conclave diverso. Il sacrificio di Benedetto XVI, per quanto controverso, mette tutti davanti a responsabilità ineludibili.

lunedì 11 febbraio 2013

Cartoline italiane: Ingroia si tiene caldi 3 posti (e quanti stipendi?)



Dopo il Papa, il sacrificio di un uomo. Se proprio lo chiameranno, si sacrifichera' per fare il ministro, ovviamente per il bene degli italiani.

Intanto si tiene il posto da magistrato (attenzione: il fatto che dica che non tornera' a esercitare a Palermo non vuole dire che abbandonera' la magistratura), quello lautamente pagato in Guatemala... cui tornare se trombato alle elezioni, e -nel frattempo- quello di politico...



Ingroia :«Bersani mi sembra molto incerto
Io ministro con lui? Vediamo»

L'ex magistrato: «Il voto utile è quello dato a noi»
«E se non vinciamo, potrei pure tornare in Guatemala»

Corriere

 

«Il voto utile? Né a Bersani, né a Berlusconi che su questo punto parlano la stessa lingua, ma a noi».

E' molto netto e sicuro il leader di Rivoluzione Civile che controbatte a chi vede nelle preferenze ai piccoli la dispersione del voto.
(...)
«IL PAPA? MEGLIO WOJTYLA» - Una chiacchierata che è iniziata ovviamente con un commento sulla notizia del giorno (e probabilmente di tantissimo tempo a venire): le dimissioni annunciate da Benedetto XVI. «E' la testimonianza che tutte le strutture evolvono, anche il Papato. Certo il suo pontificato non sarà come quello di Wojtyla, di cui ricordo con affetto le parole sulla mafia». Ingroia non ha avuto sempre parole tenere sulla Chiesa: «I preti coraggio, come Don Puglisi, hanno sempre fatto poca strada». Come non molto si è impegnato il Pd: «ha fatto poco per eliminarla la mafia, si è limitata a contenerla»

«BERSANI, UN INCERTO»- Ecco, il Pd ( e Bersani) sono i convitati di pietra della videochat. Sarebbe disposto a fare il Ministro della Giustizia Ingroia in un governo presieduto dal segretario? «Certo, farebbe più al caso mio che il ministero del Turismo. Ma il punto è cosa si va a fare». Il punto vero è, come gli chiedono più lettori: ma lei detesta Bersani? «Niente affatto, non sono io che detesto Bersani, sono quelli del Pd (da Renzi a Franceschini) che detestano noi. Ma i nostri avversari sono Berlusconi e Monti». No, Ingroia non detesta Bersani, semmai per l'ex magistrato, il segretario è un «incerto, perché non sa dove andare». E se Berlusconi è «criminogeno», Grillo è un «comico, perché la politica non si fa con le battute di spirito.

«POTREI TORNARE IN GUATEMALA»- Infine qualche malizioso gli chiede se tornerà in magistratura, qualora con la politica non andasse bene: «Sono contrario ai magistrati che entrano ed escono dalle aule del tribunale. Io di sicuro non tornerò a Palermo a fare il magistrato. Anche se non ci sarebbe alcuna controindicazione se, per esempio, tornassi a svolgere un ruolo internazionale, come quello in Guatemala».

Messaggio alla politica mondiale: si dimette il Papa



Il Papa si dimette dal pontificato : «Sento il peso dell'incarico, lascio per il bene della Chiesa»

«Forze ed età avanzata non più adatte per il ministero»
Il cardinal Sodano: «Un fulmine a ciel sereno»

Corriere della Sera

 

Papa Benedetto XVIPapa Benedetto XVI
Il Papa lascia il pontificato dal 28 febbraio. Lo annuncia personalmente, in latino, durante il concistoro per la canonizzazione dei martiri di Otranto. Benedetto XVI spiega di sentire il peso dell'incarico di pontefice, di avere a lungo meditato su questa decisione e di averla presa per il bene della Chiesa. Le «forze e l'età avanzata - dice - non sono più adatte per esercitare in modo adeguato il ministero».
Joseph Ratzinger, 86 anni il prossimo 16 aprile, era stato eletto papa dal conclave il 19 aprile 2005, dopo la morte di Giovanni Paolo II.

LE PAROLE DEL PAPA - «Carissimi Fratelli, vi ho convocati a questo Concistoro non solo per le tre canonizzazioni, ma anche per comunicarvi una decisione di grande importanza per la vita della Chiesa». Inizia così Benedetto XVI il discorso delle sue dimissioni (...). «Dopo aver ripetutamente esaminato la mia coscienza davanti a Dio - prosegue - sono pervenuto alla certezza che le mie forze, per l'età avanzata, non sono più adatte per esercitare in modo adeguato il ministero petrino». Quindi aggiunge: «Nel mondo di oggi, soggetto a rapidi mutamenti e agitato da questioni di grande rilevanza per la vita della fede, per governare la barca di San Pietro e annunciare il Vangelo, è necessario anche il vigore sia del corpo, sia dell'animo, vigore che, negli ultimi mesi, in me è diminuito in modo tale da dover riconoscere la mia incapacità di amministrare bene il ministero a me affidato».
Papa Benedetto XVI lascia il pontificato Papa Benedetto XVI lascia il pontificato    Papa Benedetto XVI lascia il pontificato    Papa Benedetto XVI lascia il pontificato    Papa Benedetto XVI lascia il pontificato    Papa Benedetto XVI lascia il pontificato
LA SUCCESSIONE - Lo stesso Ratzinger spiega che «dal 28 febbraio 2013, alle ore 20, la sede di Roma, la sede di San Pietro, sarà vacante e dovrà essere convocato, da coloro a cui compete, il Conclave per l'elezione del nuovo Sommo Pontefice». Dal Vaticano, un funzionario assicura che la vacanza della Santa Sede «sarà  il più breve possibile».
PADRE LOMBARDI: «AVEVAMO NOTATO LA STANCHEZZA» - «Un fulmine a ciel sereno» commenta il decano del collegio cardinalizio, Angelo Sodano. Poi, a poco più di un'ora dall'annuncio, prende la parola il direttore della Sala stampa della Santa Sede, Federico Lombardi, che ammette lui stesso di essere stato «sorpreso». «Il Papa dice che il vigore fisico negli ultimi mesi è diminuito, questo forse - ammette - anche noi lo abbiamo notato. Un po' di stanchezza e affaticamento maggiore rispetto al passato».
Il fratello del Papa, Georg Ratzinger, spiega inoltre alla stampa tedesca che il medico di Benedetto XVI ha consigliato al Santo Padre di non fare viaggi oltreoceano.
LE REAZIONI -Immediate anche le reazioni, dall'Italia e dal mondo. A partire dal premier Mario Monti: «Sono molto scosso da questa notizia inattesa» fino alla Germania: «Il governo tedesco reagisce con emozione e turbamento» fa sapere il portavoce dell'esecutivo.
La notizia sui media di tutto il mondo La notizia sui media di tutto il mondo    La notizia sui media di tutto il mondo    La notizia sui media di tutto il mondo    La notizia sui media di tutto il mondo    La notizia sui media di tutto il mondo
NEL MONDO - Il flash dell'Ansa delle 11.46, che ha annunciato le dimissioni del Papa, ha fatto in pochi minuti il giro del mondo. Prima l'agenzia Reuters, poi la Cnn e a seguire al Arabiya, France Presse, i britannici Telegraph e Bbc l'hanno rilanciato prima ancora che arrivasse la conferma del Vaticano. Migliaia i tweet sul tema, dall'Europa all'Asia, passando per il Medio Oriente.

domenica 10 febbraio 2013

Euro Burocrati Iperpagati e SuperRaccomandati


... non si accontentano di stipendi (certamente non meritati, se commisurati alle capacita' dei soggetti che li ricevono) che partono da 10.000 euro a salire, netti, al mese.
Vogliono anche fondi extra per l'affitto di casa.
Vogliono anche fondi extra per la macchina
Vogliono anche fondi extra per le feste e festini...
... questo schifo deve finire.


Le colorite voci di spesa di Bruxelles per l'anno in corso

Il «bilancio allegro» degli euroburocrati

Due milioni in matite e gomme, 305 mila euro per «far socializzare» il personale

CORRIERE DELLA SERA
(Lapresse)(Lapresse)
BRUXELLES - Salteranno anche quelli? Nero su bianco, due milioni e seicentomila euro destinati in un anno a «coprire le spese per bevande, bibite e pasti leggeri, serviti nel corso di riunioni interne dell'istituzione», vale a dire del Parlamento europeo. E i 305 mila euro stanziati dallo stesso Parlamento per «incoraggiare le relazioni sociali tra i membri del personale»? O i 29 milioni 996 mila euro che devono coprire «l'organizzazione di gruppi di visitatori» e anche gli «inviti a moltiplicatori di opinione dei Paesi terzi?», (forse vuol dire «leader»?).


ACCORDO - L'accordo sul bilancio settennale 2014-2020 dell'Unione Europea, raggiunto l'altro sabato, entrerà in vigore dal prossimo gennaio, se e quando avrà il via libera dall'Europarlamento. La promessa giunta dal vertice Ue è quella di tagliar duro anche nel bosco delle spese amministrative: almeno sulla carta, la «spending review» parte da casa. E i «boscaioli» dovrebbero essere già in marcia, fra i bilanci ufficiali e pubblici dei palazzi Ue. A cominciare dal testo più recente e tormentato, il «pacchetto» di Bilancio generale del 2013 formalmente adottato a dicembre.

SPESE - Lì si constata ad esempio che il Parlamento può proporre di stanziare in un anno per le uniformi dei propri autisti e uscieri 661.500 euro, per la cancelleria e «materiali di consumo diversi» 2.339.500 euro, per i francobolli 357 mila, per il proprio parco «di auto e biciclette» 6.068.000 euro; e per le «mense e ristoranti» 3.960.000 euro, con un balzo dai 2.600.000 del 2012. O ancora 1.361.350 euro - sempre di fondi pubblici- che comprendono spese «di ricevimenti e di rappresentanza... ivi compreso l'acquisto di articoli e di medaglie per i funzionari che hanno maturato 15 o 25 anni di servizio». 
Agli o alle «assistenti parlamentari» vengono dedicati 187.345.000 euro. 
All'«acquisizione di consulenza» (di «esperti qualificati e istituti di ricerca», loro spese di viaggio comprese) 11.530.000 euro. 
Il «finanziamento dei partiti politici europei» vale 21.794.200 euro, e quello delle fondazioni 12.400.000
E ci sono le «spese per missioni e spostamenti del personale tra i tre luoghi di lavoro», cioè Bruxelles, Strasburgo e Lussemburgo: 28.616.000 euro. È storia vecchia: una volta al mese, il Parlamento si trasferisce a Strasburgo, con un costo totale per i contribuenti stimato in 200 milioni all'anno.
Il bilancio dimostra anche come tutte le istituzioni europee curino il benessere dei bambini: cioè dei figli dei propri dipendenti. Il Parlamento considera appropriati 6.683.000 euro «per l'insieme delle spese relative al centro per l'infanzia e agli asili nido esterni con i quali è stata conclusa una convenzione»;
il Consiglio dell'Unione Europea (l'organismo che riunisce i ministri dei vari governi) punta su 2.014.000, e la Corte dei conti - il guardiano degli sprechi contabili - concorda su 1.654.000 euro come «stanziamento destinato a coprire la quota della Corte per il centro polivalente per l'infanzia e il centro studi a Lussemburgo». E al pari dei bambini, nei palazzi Ue non si dimenticano neppure gli anziani, i pensionati: 200 mila euro sono destinati dal Parlamento alle «spese per riunioni e altre attività di ex deputati».

INDENNITÀ - Tutte le istituzioni annoverano poi, fra gli stanziamenti per stipendi, indennità e assicurazioni varie,
«l'indennità di licenziamento di funzionari in prova, licenziati a causa di manifesta inattitudine». 

Il Parlamento concentra notevoli risorse sulla «sicurezza e sorveglianza degli immobili», fondi per 36.043.268 euro.
E forse non basta: già tre volte, dal 2009 al 2011, nello stesso Parlamento è stata rapinata prima la banca interna e poi una dipendente. Il budget 2013 per «manutenzione, riparazione e pulizia immobili» ammonta invece a 57.264.000 euro: nel 2008 c'è stato il crollo parziale del tetto nella sede di Strasburgo, e nello scorso settembre è stato chiuso l'emiciclo nella sede di Bruxelles per sospette crepe.
Fra i 305 mila euro destinati dal Parlamento alle «relazioni sociali» fra il personale, sono comprese «sovvenzioni ai club e circoli sportivi e culturali».
Ma chi si allena, può sempre farsi male: così, ecco uno stanziamento destinato a «premi assicurativi per infortuni sportivi per gli utenti del centro sportivo del Parlamento europeo a Bruxelles e Strasburgo».