Mentre il presidente della repubblica indulge in feste e festini che nulla hanno da invidiare a quelle dell'aristocrazia francese pre rivoluzionaria (mentre la gente, per strada, moriva di fame), coll'aggiunta che qua, dal denaro destinato alla gente, si ruba ancora di piu'...
Mentre tutto questo accade, i media descrivono le dimissioni del Papa in articoli da leggere da FONDO a CIMA (non da cima a fondo), per comprendere la realta' dei fatti.
Prendiamo, ad esempio, questo pezzo del
Corsera.
Provate a leggerlo cosi' com'e' - poi ripetete l'esperimento partendo DAL FONDO (in rosso i concetti chiave).
Non essendo riuscito a cambiare la Curia, Benedetto XVI è arrivato ad
una conclusione amara: va via, è lui che cambia. Si tratta del
sacrificio estremo, traumatico, di un pontefice intellettuale sconfitto
da un apparato ritenuto troppo incrostato di potere e autoreferenziale
per essere riformato. È come se Benedetto XVI avesse cercato di
emancipare il papato e la Chiesa cattolica dall'ipoteca di una specie di
Seconda Repubblica vaticana; e ne fosse rimasto, invece, vittima. È
difficile non percepire la sua scelta come l'esito di una lunga
riflessione e di una lunga stanchezza. Accreditarlo come un gesto
istintivo significherebbe fare torto a questa figura destinata e entrare
nella storia più per le sue dimissioni che per come ha tentato di
riformare il cattolicesimo, senza riuscirci come avrebbe voluto: anche
se la decisione vera e propria è maturata domenica.
Quello a cui si assiste è il sintomo estremo, finale, irrevocabile della crisi di un sistema di governo e
di una forma di papato; e della
ribellione di un «Santo Padre» di
fronte alla deriva di una Chiesa-istituzione passata in pochi anni da
«maestra di vita» a «peccatrice»; da punto di riferimento morale
dell'opinione pubblica occidentale, a una specie di «imputata globale»,
aggredita e spinta quasi a forza dalla parte opposta del confessionale.
Senza questo trauma prolungato e tuttora in atto, riesce meno
comprensibile la rinuncia di Benedetto XVI. È la lunga catena di
conflitti, manovre, tradimenti all'ombra della cupola di San Pietro, a
dare senso ad un atto altrimenti inesplicabile; e per il quale
l'aggettivo «rivoluzionario» suona inadeguato: troppo piccolo, troppo
secolare. Quanto è successo ieri lascia un senso di vuoto che stordisce.
E nonostante la sua volontà di fare smettere il clamore e lo sconcerto intorno alla Città del Vaticano,
le parole accorate pronunciate dal Papa li moltiplicano.
Aggiungono
mistero a mistero. Ne marcano la silhouette in modo drammatico,
proiettando ombre sul recente passato. Consegnano al successore che
verrà eletto dal prossimo Conclave un'istituzione millenaria,
di colpo
appesantita e logorata dal tempo. E adesso è cominciata la caccia ai
segni: i segni premonitori. Come se si sentisse il bisogno di trovare
una ragione recondita ma visibile da tempo, per dare una spiegazione
alla decisione del Papa di dimettersi: a partire dall'accenno fatto
l'anno scorso da monsignor Luigi Bettazzi; e poco prima dall'arcivescovo
di Palermo, Paolo Romeo, che si era lasciato scappare questa
possibilità durante un viaggio in Cina, ipotizzando perfino un complotto
contro Benedetto XVI.
Ma la ricerca rischia di essere una «via crucis» nella crisi d'identità del Vaticano.
Riaffiora l'immagine di Joseph Ratzinger che lascia il suo pallio, il
mantello pontificio sulla tomba di Celestino V, il Papa che «abdicò» nel
1294, durante la sua visita all'Aquila dopo il terremoto, il 28 aprile
del 2009. Oppure rimbalza l'anomalia dei due Concistori indetti nel 2012
«per sistemare le cose e perché sia tutto in ordine», nelle parole
anodine di un cardinale. O ancora tornano in mente le ripetute
discussioni col fratello sacerdote Georg, sulla possibilità di lasciare.
Qualcuno ritiene di vedere un indizio della volontà di dimettersi
perfino nei lavori di ristrutturazione dell'ex convento delle suore di
clausura in corso nei giardini vaticani: perché è lì che Benedetto XVI
andrà a vivere da «ex Papa», dividendosi col palazzo sul lago di Castel
Gandolfo, sui colli a sud di Roma.
L' Osservatore romano scrive che aveva deciso da mesi, dall'ultimo viaggio in Messico.
Ma è difficile capire quando l'intenzione, quasi la tentazione di farsi
da parte sia diventata volontà e determinazione di
compiere un gesto
che «per il bene della Chiesa», nel breve periodo non può non sollevare
soprattutto domande; e mostrare un Vaticano acefalo e delegittimato
nella sua catena di comando ma soprattutto nel suo primato morale:
proprio perché di tutto questo Benedetto XVI è stato l'emblema e il
garante. «Il Papa continua a scrivere, a studiare. È in salute, sta
bene», ripetono quanti hanno contatti con lui e la sua cerchia. «Non è
vero che sia malato: stava preparando una nuova enciclica».
Dunque, la
traccia della malattia sarebbe fuorviante.
Smonta anche il precedente delle lettere riservate preparate segretamente da Giovanni Paolo II nel 1989 e nel 1994,
nelle quali offriva le proprie dimissioni in caso di malattia
gravissima o di condizioni che gli rendessero impossibile «fare il Papa»
in modo adeguato. Ma l'assenza di motivi di salute rende le domande più
incalzanti. E ripropone l'unicità del passo indietro. Il gesuita
statunitense Thomas Reese calcola che nella storia siano state
ipotizzate le dimissioni di una decina di pontefici. Ma fa notare che in
generale i papi moderni hanno sempre scartato questa possibilità.
Eppure, gli scritti di Ratzinger non hanno mai eluso il problema, anzi:
lentamente affiora la realtà di un progetto accarezzato da tempo. «I due
Georg sapevano», si dice adesso, alludendo al fratello Georg Ratzinger e
a Georg Gänswein, segretario particolare del pontefice.
Forse, però, colpisce di più che fosse all'oscuro di tutto il cardinale Angelo Sodano,
ex segretario di Stato e numero uno del Collegio Cardinalizio; e con
lui altre «eminenze», che parlano di «fulmine a ciel sereno». È come se
perfino in queste ore si intravedesse una singolare struttura tribale,
che ha dominato la vita di Curia con amicizie e ostilità talmente
radicate da essere immuni a qualunque richiamo all'unità del pontefice.
Sotto voce, si parla del
contenuto «sconvolgente» del rapporto segreto
che tre cardinali anziani hanno consegnato nei mesi scorsi a proposito
di Vatileaks, la fuga di notizie riservate per la quale è stato
incriminato e condannato solo il maggiordomo papale, Paolo Gabriele. Si
fa notare che
da oltre otto mesi lo Ior, l'Istituto per le opere di
religione considerato «la banca del Papa», è senza presidente dopo la
sfiducia a Ettore Gotti Tedeschi. Rimane l'eco intermittente dello
scandalo dei preti pedofili, che pure il pontefice ha affrontato a costo
di scontrarsi con una cultura del segreto ancora diffusa negli ambienti
vaticani.
E continuano a spuntare «buchi» di bilancio a carico di istituti cattolici,
dopo la presunta truffa milionaria a danno dei Salesiani: un episodio
imbarazzante per il quale il segretario di Stato, Tarcisio Bertone, ha
inutilmente cercato la solidarietà e la comprensione della magistratura
italiana. È questa eredità di inimicizie, protagonismi, lotta fra
correnti, faide economiche con risvolti giudiziari che sembra aver
pesato più di quanto si immaginasse sulle spalle infragilite di
Benedetto XVI. È come se avesse interiorizzato la «malattia» della crisi
vaticana di credibilità, irrisolta e apparentemente irrisolvibile.
Conferma il ministro Andrea Riccardi, che lo conosce bene: «Ha trovato
difficoltà e resistenze più grandi di quelle che crediamo. E non ha
trovato più la forza per contrastarle e portare il peso del suo
ministero. Bisogna chiedersi perché».
Ma nel momento in cui decide di dimettersi da Papa, Benedetto XVI infrange un tabù plurisecolare,
quasi teologico.
Fa capire alla nomenklatura vaticana che nessuno è
insostituibile: nemmeno l'uomo che siede sulla «Cattedra di Pietro». E
apre la porta a una potenziale ondata di dimissioni. Soprattutto, addita
al Conclave la drammaticità della situazione della Chiesa. Dà
indirettamente ragione a quegli episcopati mondiali, in particolare
occidentali, che da mesi osservano la Roma papale come un nido di
conflitti e manovre fra cordate che da tempo pensano solo alla
successione. L'annuncio delle dimissioni avviene in coincidenza con
l'anniversario dei Patti lateranensi; e nel bel mezzo di una campagna
elettorale: al punto che ieri alcuni leader si chiedevano se
interrompere per un giorno i comizi. Ma già si guarda avanti. Bertone ha
chiesto di incontrare per una decina di minuti il capo dello Stato
Giorgio Napolitano prima della
festa in ambasciata di oggi pomeriggio. E
il «toto-Papa» impazza, con le scommesse fuorvianti sull'«italiano» o
il «non italiano». Stavolta, in realtà, sarà un Conclave diverso. Il
sacrificio di Benedetto XVI, per quanto controverso, mette tutti davanti
a responsabilità ineludibili.
Massimo Franco