IL PROBLEMA DELLA TRACCIABILITA' NELLE CARNI, GLI ALIMENTARI, E I
BENI IN GENERALE
La
tracciabilita’ e’ sia la “capacità di risalire alla storia e all’uso o alla collocazione
di un prodotto o di un’attività attraverso identificazioni documentate.” (vecchia ISO 8402/1992) che “la capacità di
ricostruire e seguire il percorso di un alimento, di un mangime, di un animale
destinato alla produzione alimentare o di una sostanza destinata o atta ad
entrare a far parte di un alimento o di un mangime attraverso tutte le fasi
della produzione, della trasformazione e della distribuzione.” (Regolamento Europeo 178/2002). Per
ricostruire qualcosa al contrario – salvo
si voglia intraprendere, nei casi di necessita’, un’opera di “indagine a
ritroso” - e’ necessario imporre a chi produce le materie prime, le assembla,
giungendo al prodotto finale, dei protocolli di registrazione di cosa viene
fatto, come e dove.
Tutto cio’ e’
tanto piu’ necessario nell’ambito dell’alimentazione: le materie prime vengono
coltivate ed allevate nelle piu’ disparate parti del mondo e – dando per
scontato che dietro al “progetto” di una filiera alimentare, vi siano uno o
piu’ “responsabili” – e’ indispensabile imporre a questi (o chiunque, a chi si assume il compito della distribuzione degli
alimentari sul mercato europeo: si vedra’ che la piu’ recente normativa rende responsabile,
l’operatore con il cui nome o con la cui ragione sociale è commercializzato il
prodotto, oppure, se tale operatore non è stabilito nella UE, l’importatore nel
mercato dell’Unione europea) l’onere di mantenere un controllo completo
sulla filiera, e di “riportare” le informazioni sulla filiera stessa a
conoscenza delle Autorita’ e, se possibile, dei consumatori finali, nel modo
piu’ dettagliato possibile.
Non sempre
avviene cosi’. Un sistema piu’ stringente, in tal senso, lo troviamo per l’identificazione
e l’etichettatura delle carni: la reazione del legislatore – che ha imposto,
inizialmente, per le carni piuttosto che per i composti contenenti elaborati di
carne - la tracciabilita’ fin dal
macello, nasce dal fenomeno cosiddetto della “mucca pazza”. Si e’ trattato,
insomma, di un fenomeno di “cordone
sanitario per legge” : ecco il motivo del Regolamento (CE) n. 1760/2000. Per la carne bovina e bufalina fresca, refrigerata e congelata, dal 1°
gennaio 2002, gli operatori e le organizzazioni che commercializzano indicano,
sia il nome dello Stato (membro UE o Paese terzo) in cui è nato
l’animale, che il nome dello Stato o
degli Stati (membri UE o Paesi terzi) in cui è stato effettuato l’ingrasso.
Alla norma
“core” si affiancano una serie di leggi secondarie – spesso importanti nel loro
specifico : si pensi alle regole sui registri e i passaporti degli animali ( Regolamento
(EC) 911/2004), sulle misure di controllo (Regolamento (EC) 1082/2003) .
Il Regolamento CE 543/2008,
recante le modalità di applicazione del Regolamento CE 1234/2007, ha stabilito
le norme di commercializzazione per le carni
di pollame (pollo, tacchino, anatra, oca, faraona), imponendo ,
sull’involucro o sull’etichetta – fra le altre informazioni - il numero di riconoscimento del macello o
del laboratorio di sezionamento, eccettuati i casi in cui il sezionamento e
il disosso si effettuino sul luogo di vendita, e l’indicazione dello Stato d’origine per
le carni importate da Paesi terzi.
Il 1° luglio 2012 sono poi entrati in
applicazione su tutto il territorio dell’Unione Europea i regolamenti
comunitari : Regolamento diesecuzione (UE) n. 931/2011 della Commissione relativo ai requisiti di
rintracciabilità fissati dal Regolamento (CE) n. 178/2002 del Parlamento
europeo e del Consiglio per gli alimenti di origine animale. Il motivo di tale
“estensione” dell’oggetto dell’attenzione sono alcune crisi alimentari.
Nell’occsasione, si era visto come la documentazione raccolta e conservata ai
fini della rintracciabilità fosse adeguata e funzionale. Si sono rese
obbligatoria elatri informazioni: quelle relative a volume, quantità,
lotto/partita, nonché la descrizione dettagliata degli alimenti e la data di
spedizione.
Le informazioni di
rintracciabilità requisiti specifici per gli alimenti di origine animale
espressi dal Regolamento UE n° 931/2011
sono, oltre ad una descrizione dettagliata degli alimenti, ad esempio il nome e l’indirizzo dell’operatore del
settore alimentare che ha spedito gli alimenti, il nome e l’indirizzo
dell’operatore del settore alimentare al quale gli alimenti sono stati spediti,
riferimento al lotto, o partita, se necessario.
Per gli alimenti in generale, Regolamento Europeo 178/2002 (in vigore
dal 1 gennaio 2005) ha introdotto a livello legislativo l’obbligo per tutti gli
Stati membri della Comunità Europea di definire un sistema di tracciabiltà nel
settore alimentare in modo da “garantire un livello elevato di tutela della
vita e della salute umana nell'esecuzione delle politiche comunitarie”. Il 25
ottobre 2011, il Parlamento europeo e il Consiglio hanno adottato il Regolamento UE 1169/2011 “relativo alla
fornitura di informazioni sugli alimenti ai consumatori”. Con questo
Regolamento, il legislatore dell’Unione europea, ha abrogato le Direttive
2000/13/CE e 90/496/CEE. Il campo di applicazione del Regolamento si applica:
• agli operatori del settore
alimentare in tutte le fasi della catena alimentare quando le loro attività
riguardano la fornitura di informazioni sugli alimenti ai consumatori
• a tutti gli alimenti destinati
al consumatore finale, compresi quelli forniti dalle collettività e quelli
destinati alla fornitura delle collettività (rientrano nell’ambito di
applicazione, quindi, i pubblici esercizi, le mense, i catering)
• ai servizi di ristorazione
forniti da imprese di trasporto quando il luogo di partenza si trovi nel
territorio di Stati membri cui si applica il trattato.
Il paese
d’origine o il luogo di provenienza deve essere indicato ove previsto
all’articolo 26 dello stesso Regolamento 1169/2011. Uno speciale sistema e’
previsto per denominazioni di vendita protette, che si differenziano
dalle denominazioni di vendita (della UE o nazionali) per la registrazione
del prodotto in appositi elenchi. I prodotti agricoli ed alimentari
protetti hanno caratteristiche uniche, derivanti dall’ambiente geografico ove
sono ottenuti. Essi devono rispettare il disciplinare di produzione.
L’etichettatura di tali prodotti è soggetta a specifica disciplina.
Per i beni in generale, invece, si e’ deciso
di non porre eccessiva tutela nell’indicare – da parte dei produttori –
l’origine dei singoli componenti. Allo stato attuale nella disciplina di fonte
comunitaria non esiste quindi un espresso obbligo di etichettatura di
origine del prodotto. La Corte di Giustizia CE ha, in varie occasioni,
dimostrato la sua contrarietà a introdurre l’obbligo d'indicazione del
"made in" da parte dei Paesi membri. Il Codice Doganale
Comunitario - adottato con Regolamenton. 450/2008 - stabilisce che nel caso in cui alla produzione della merce
abbiano contribuito due o più Paesi, la merce si considera originaria del Paese
dove è avvenuta l’ultima trasformazione/lavorazione sostanziale in
presenza delle seguenti condizioni cumulative:
- lavorazione/trasformazione sostanziale
- economicamente giustificata
- effettuata da un’impresa attrezzata a tale scopo
- che si sia conclusa con la fabbricazione di un prodotto nuovo o abbia rappresentato una fase importante del processo di fabbricazione.
I tentativi di
“imporre” una tracciabilita’ della filiera (proposte di Regolamento Comunitario
in tal senso ) , e addirittura normative italiane (si pensi alla proposta di legge c.d. Versace/Reguzzoni, L. 55/2010) si sono dunque scontrati
- soccombendo - contro una norma
primaria piu’ importante. L’art. 31 bis del D.L. 273/2005 (convertito nella L. 51/2006) ha sospeso
l’applicazione dell’art. 6, lettera c), del Codice del Consumo (D. Lgs.
206/2005), per cui i prodotti o le confezioni di prodotti destinati al
consumatore devono riportare chiaramente visibili e leggibili, tra le altre
indicazioni, anche quella relativa al “Paese di origine”, quando situato al di
fuori dell’Unione Europea. Il decreto di attuazione dell’art. 6, lettera c),
del Codice del Consumo, infatti, non è ancora stato emanato, con la conseguenza
che l’efficacia di detta disposizione è momentaneamente sospesa. E’ stato abrogato
l’art. 17 della L. 99/2009, che prevedeva l’indicazione in ogni caso
della provenienza estera del prodotto ; la sistemistica e’ quindi essenzialmente
penale: la L. 166/2009 ha
stabilito che l’importazione e l’esportazione - o la commissione di atti
diretti in modo non equivoco alla commercializzazione - di prodotti recanti falsi
o fallaci indicazioni di provenienza o di origine costituisce reato ed è
punita ai sensi dell’art. 517 del codice penale.